mercoledì 21 marzo 2007

Il Costo della Libertà

Dopo esattamente 15 giorni Daniele Mastrogiacomo, giornalista di Repubblica, è stato consegnato lunedi pomeriggio all’organizzazione umanitaria Emergency nell’ospedale di Lashkar-gah nel Sud dell’Afghanistan dopo essere stato in mano di bande di Talebani, che come ha dichiarato lui stesso appena liberato durante la telefonata alla moglie e al suo direttore, lo hanno tenuto incatenato per tutta la prigionia ed è stato costretto a cambiare continuamente prigione. A seguito di questa liberazione, il premier Prodi in un comunicato diffuso da palazzo Chigi ha ringraziato tutti coloro che hanno contribuito alla soluzione della vicenda ad iniziare dal ministro degli Esteri Massimo D'Alema, l’ambasciatore a Kabul Ettore Sequi, l’ammiraglio Bruno Branciforte che ha guidato le operazioni del Sismi, le organizzazioni umanitarie con in testa Gino Strada fondatore di Emergency e il governo afgano di Hamid Kharzai, sottolineando inoltre l’atteggiamento serio e collaborativo di tutte le forze politiche, nessuna esclusa, fondamentale nel mostrare la compattezza e la determinazione del nostro Paese per il raggiungimento dell’obiettivo.
Il mullah Dadullah, capo Talebano che controlla il sud Afghanistan, ha spiegato che l'ostaggio è stato restituito al suo Paese in cambio della scarcerazione di cinque prigionieri talebani, e consegnato a "funzionari italiani" nel distretto di Hazarijuft nella provincia meridionale di Helmand. Tra gli uomini liberati c'è anche suo fratello Mansoor Ahmad. Gli altri sono: Ustad Yasir, il Mufti Latifullah Hakimi (ex portavoce dei talebani) e i due comandanti Hamdullah e Abdul Ghaffar.
La liberazione del giornalista però apre nuovamente discussioni sul modo di comportamento italiano in situazioni di crisi per rapimenti dei nostri connazionali in zone di guerra, come già era accaduto con le "due simone" e la "Sgrena", che tanto differisce da quello degli altri stati che partecipano alla missione Nato. Il primo punto di questa discussione nasce dal mancato rilascio di Adjmal, l'interprete afghano di Mastrogiacomo, di cui si è persa traccia, e della mancata consegna del corpo dell'autista ai familiari, ucciso sotto gli occhi del giornalista, come lui stesso ha dichiarato, che ha scaturito una protesta davanti all'ospedale di Emergency da parte di parenti e amici dei due afghani, senza contare all'arresto da parte di forze di sicurezza afghane del mediatore di Emergency, Rahamatullah Hanifi, responsabile del personale dell'ospedale di Lashkar Gah. Il secondo punto è l’attacco ai militari italiani a nemmeno 24 ore dalla liberazione di Mastrogiacomo è una conferma che con la linea della trattativa con i terroristi, siamo diventati un bersaglio, come ha dichiarato Giorgio La Malfa (Partito Repubblicano Italiano) appoggiato da esponenti dell'opposizione, aggiungendo che questo attacco conferma un avvicinamento della zona di combattimento attivo a Herat come avevano annunciato molti esperti di tattica militare e politica estera nei giorni passati. Su questo argomento Benedetto Della Vedova presidente dei Riformatori Italiani ha dichiarato che la politica estera italiana non può essere e neppure apparire neutrale o ‘equivicina’ alle istanze delle fazioni talebane e alle esigenze del governo Karzai. In una parola, la politica estera del governo e quindi dell’Italia non può essere quella di Gino Strada e che bisogna dotare, in tempi brevi, i nostri militari in Afghanistan di armi di difesa attiva e non continuare a nascondersi dietro finti pacifismi invocati dalla sinistra radicale.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Concordo.

Soprattutto se penso che per i sequestri di persona in Italia è stata scelta la via di bloccare i beni per contrastare il crimine.

Sono scelte indubbiamente difficili e complesse ma la stessa strada potrebbe essere tentata anche nei casi come quello di Mastrogiacomo.

E ad assumersi questa responsanilità deve essere lo Stato, nessuna delega (in bianco peraltro).

Ciao