mercoledì 28 marzo 2007

L'Unione e UDC approvano!

Il Senato ha approvato il decreto per il rifinanziamento delle missioni militari dove sono impegnate truppe italiane all'estero, compresa e soprattutto quella in Afghanistan. Il voti a favore giunti dalla maggioranza, con il supporto del UDC, sono stati 180, mentre il resto della opposizione ha scelto compatta di astenersi, vedendo che il dialogo parlamentare con la proposta di Ordini del giorno era impossibile, dato che gli emendamenti avrebbero rispedito alla verifica dell'altra camera e il decreto non sarebbe potuto essere approvato entro i termini legislativi di domenica. Gli ordini del giorno, anche dopo aver ascoltato le dichiarazioni del Ministro degli Esteri, gli ultimi attacchi, due in 10 giorni, subiti dai nostri soldati in territorio Afghano e le richieste degli altri membri delle alleanza presenti sul territorio di guerra, erano indirizzati per modificare le armi a disposizione delle nostre truppe.
La maggioranza ha bocciato tutti questi documenti prodotti dall'opposizione ad esclusione di uno proposto dalla Lega Nord.

Il voto di ieri è stato seguito con attenzione anche dalla Nato, attraverso il proprio segretario generale, con l'auspicio di un mantenimento dell'impegno sin qui portato avanti dall'Italia in Afghanistan e il dipartimento di Stato americano ha auspicato da parte degli alleati un aumento della presenza militare invitandoli anche a ''limitare o eliminare" i caveat esistenti, ovvero le limitazioni geografiche o di intervento stabilite per i diversi contingenti nazionali. A questi ultime richieste è arrivata una risposta negativa da parte del governo per voce del ministro D'Alema dichiarando che le regole d'ingaggio non sono in nostra disponibilità perché è una decisione in pertinenza della Nato e l'Onu, ma che promette in risposta ai molti ordini del giorno proposti dall'opposizione che l'esecutivo provvederà alle esigenze di protezione dei soldati italiani in Afghanistan sulla base di una relazione tecnica predisposta dallo Stato maggiore delle Forze Armate.
Il superamento di questo scoglio al Senato rimanda per ora la questione della gestione delle truppe italiane all'estero ed i rapporti con gli alleati che sono sempre più stanchi di questa situazione di poca chiarezza da parte del governo italiano, che approva il rifinanziamento delle missioni ma sceglie una linea sempre diversa per il suo impegno negli scenari di guerra, per tenere unite le forze della sinistra radicale da sempre contro queste missioni di pace e decide sempre da sola per risolvere i problemi che la colpiscono, chiedendo però spesso supporto alle altre forze presenti, come ad esempio la liberazione del giornalista di Repubblica o con proposte di mediazione con i Talebani.

mercoledì 21 marzo 2007

Il Costo della Libertà

Dopo esattamente 15 giorni Daniele Mastrogiacomo, giornalista di Repubblica, è stato consegnato lunedi pomeriggio all’organizzazione umanitaria Emergency nell’ospedale di Lashkar-gah nel Sud dell’Afghanistan dopo essere stato in mano di bande di Talebani, che come ha dichiarato lui stesso appena liberato durante la telefonata alla moglie e al suo direttore, lo hanno tenuto incatenato per tutta la prigionia ed è stato costretto a cambiare continuamente prigione. A seguito di questa liberazione, il premier Prodi in un comunicato diffuso da palazzo Chigi ha ringraziato tutti coloro che hanno contribuito alla soluzione della vicenda ad iniziare dal ministro degli Esteri Massimo D'Alema, l’ambasciatore a Kabul Ettore Sequi, l’ammiraglio Bruno Branciforte che ha guidato le operazioni del Sismi, le organizzazioni umanitarie con in testa Gino Strada fondatore di Emergency e il governo afgano di Hamid Kharzai, sottolineando inoltre l’atteggiamento serio e collaborativo di tutte le forze politiche, nessuna esclusa, fondamentale nel mostrare la compattezza e la determinazione del nostro Paese per il raggiungimento dell’obiettivo.
Il mullah Dadullah, capo Talebano che controlla il sud Afghanistan, ha spiegato che l'ostaggio è stato restituito al suo Paese in cambio della scarcerazione di cinque prigionieri talebani, e consegnato a "funzionari italiani" nel distretto di Hazarijuft nella provincia meridionale di Helmand. Tra gli uomini liberati c'è anche suo fratello Mansoor Ahmad. Gli altri sono: Ustad Yasir, il Mufti Latifullah Hakimi (ex portavoce dei talebani) e i due comandanti Hamdullah e Abdul Ghaffar.
La liberazione del giornalista però apre nuovamente discussioni sul modo di comportamento italiano in situazioni di crisi per rapimenti dei nostri connazionali in zone di guerra, come già era accaduto con le "due simone" e la "Sgrena", che tanto differisce da quello degli altri stati che partecipano alla missione Nato. Il primo punto di questa discussione nasce dal mancato rilascio di Adjmal, l'interprete afghano di Mastrogiacomo, di cui si è persa traccia, e della mancata consegna del corpo dell'autista ai familiari, ucciso sotto gli occhi del giornalista, come lui stesso ha dichiarato, che ha scaturito una protesta davanti all'ospedale di Emergency da parte di parenti e amici dei due afghani, senza contare all'arresto da parte di forze di sicurezza afghane del mediatore di Emergency, Rahamatullah Hanifi, responsabile del personale dell'ospedale di Lashkar Gah. Il secondo punto è l’attacco ai militari italiani a nemmeno 24 ore dalla liberazione di Mastrogiacomo è una conferma che con la linea della trattativa con i terroristi, siamo diventati un bersaglio, come ha dichiarato Giorgio La Malfa (Partito Repubblicano Italiano) appoggiato da esponenti dell'opposizione, aggiungendo che questo attacco conferma un avvicinamento della zona di combattimento attivo a Herat come avevano annunciato molti esperti di tattica militare e politica estera nei giorni passati. Su questo argomento Benedetto Della Vedova presidente dei Riformatori Italiani ha dichiarato che la politica estera italiana non può essere e neppure apparire neutrale o ‘equivicina’ alle istanze delle fazioni talebane e alle esigenze del governo Karzai. In una parola, la politica estera del governo e quindi dell’Italia non può essere quella di Gino Strada e che bisogna dotare, in tempi brevi, i nostri militari in Afghanistan di armi di difesa attiva e non continuare a nascondersi dietro finti pacifismi invocati dalla sinistra radicale.

lunedì 19 marzo 2007

Cesare Battisti - "il turista noir torna a casa"

Rio de Janeiro, 18 mar. Dopo anni di latinanza e caccia da parte di polizie internazionali è stato arrestato Cesare Battisti, il leader dei «proletari armati», condannato in contunacia nel 1993 all'ergasotlo per omicidio, che aveva fatto sparire le sue traccie nel 2004. Lo hanno trovato mentre prendeva il sole sulla spiaggia di Capocabana, come tanti turisti insieme ad una sua amica francese, Lucie Genevieve Oles, che gli aveva portato una valigia contenente 9 mila euro. Le vicende che riguardano il terrorista degli anni di piombo italiano, arrestato nel '79 ed evaso nel '81 per rifugiarsi in Francia, e grazie al teorema Mitterrand che impediva l’estradizione anche ai terroristi, se rinnegavano la lotta armata, gli aveva permesso di vivere indisturbato in terra transalpina aprendo per lui una carriera di scrittore di racconti noir, ricordiamo per esempio "Travestito da uomo". Lui si è sempre dichiarato innocente, aver solo ammesso di esserer parte dei Proletari armati per il comunismo,ma smentito di aver sparato a qualcuno anche se accusato da parte di stessi compagni brigatisti ora dissociati. L'arresto di questo brigatista, mai pentito e rincorso per 28 anni fatti di fughe e caccia da parte degli uomini dell'UCIGOS (Ufficio Centrale per le Investigazioni Generali e per le Operazioni Speciali), reparto creato da Cossiga nel '78, ha nuovamente aperto polemiche e ricordi degli anni che hanno riempito di sangue il nostro paese, e la questione della estradizione per i protagonisti di quegli anni. In francia, la sinistra radicale e il candidato centrista alle presidenziali, François Bayrou, rimbroverano il ministro dell'Interno e candidato della destra all'Eliseo, Nicolas Sarkozy, che questa operazione e un "colpo elettorale" e chiedono alle autorità italiane di risottoporre Battisti ad un nuovo processo, anche se questo è impossibile secondo le leggi giudiziarie italiane. I comitati francesi che aiutano i brigatisti rossi latitanti e i gruppi di estrema sinistra italiani si stanno invece mobilitando per chiedere l'amnistia dichiarando che Battisti è vittima di un complotto politico-giudiziario italo-francese.
Ora, il prossimo passo del Governo italiano, sarà la richiesta di estradizione, a seguito di questa opeazione congiunta della polizia brasiliana, francese e dell'Ucigos italiana. Un portavoce del ministero degli Esteri brasiliano lascia ben sperare dato che esiste un trattato tra Brasile e Italia siglato nel 1989 e entrato in vigore nel 1993 su questo tipo di operazioni. Mentre Carlo De Stefano, direttore del UCIGOS, promette nuovi sviluppi, Giuliano Amato, ministro dell'interno, riporta alle forze di polizia italiane "i meritati rallegramenti" personali e del Premier "per la brillante operazione che ha condotto alla cattura di Cesare Battisti ringraziando la cooperazione delle polizie di paesi amici", al quale si aggiunge una nota del leader Ds Piero Fassino che dichiara che è un bene che i responsabili dei gravissimi atti di terrorismo che hanno provocato vittime innocenti e sconvolto la vita del paese siano assicurati alla giustizia. Anche dalla Casa delle libertà si alzano plausi per questa brillante operazione, Luca Volontè, capogruppo Udc alla Camera dichara che è un ottima notizia l'arresto di Cesare Battisti, brigatista alla macchia da troppo tempo. Ora D'Alema e Mastella ne chiedano la pronta estradizione e venga finalmente ed esemplarmente incarcerato in Italia" a cui fa eco Giorgia Meloni, parlamentare di AN e vicepresidente della Camera dei Deputati che afferma che è una notizia che aspettavamo da anni. Una volta resa effettiva l'estradizione, la giustizia potrà finalmente riprendere il cammino interrotto 25 anni fa; Attendiamo perciò il rientro in Italia dell ex leader dei Pac, dove sconterà la pena inflitta per omicidio plurimo, che è riuscito ad evitare solo grazie alla fuga. Mi sento di rivolgere un doveroso pensiero anche alle famiglie delle vittime uccise da Battisti, che a lungo hanno atteso questo momento e che finalmente potranno riacquistare fiducia nelle Istituzioni italiane nel vedere l'assassino dei loro cari pagare con la reclusione per le sue colpe".

domenica 11 marzo 2007

DICO....UNIONE non di FATTO

La manifestazione romana di sabato a favore dei Dico, che secondo gli organizzatori ha coinvolto 80mila partecipanti, ha riaccesso le polemiche ed il dibattito sul disegno di legge e sui rischi per la tenuta dell'esecutivo legati all'approvazione di questa legge come ha sostenuto il ministro Mastella rispondendo ai fischi ed insulti a lui indirizzati dai manifestanti che creano "inevitabilmente l'apertura di un solco, una frattura all'interno del centrosinistra che va ricomposta in modo breve altrimenti si starà assieme e si faranno sogni diversi, una cosa che non è possibile fare. Qualcosa è cambiato e purtroppo devo prenderne atto". Queste dichiarazione mostrano ancora una volta la presenza di più anime all'interno della coalizione che supporta il Governo Prodi, dato che tre colleghi dell'esecutivo del guardasigilli, Barbara Pollastrini (Pari Opportunità), Alfonso Pecoraro Scanio (Ambiente) e Paolo Ferrero (Solidarietà sociale) erano presenti sul palco della manifestazione. Secondo alcuni esponenti della maggioranza, che hanno plauso al primo ministro quando ha delegato al parlamento e non più al governo la materia delle unioni di fatto, hanno dichiarato che si auspicavano che il primo minstro doveva dare un'indicazione congrua prima e non dopo, dicendo che era auspicabile che nessuno dell'esegutivo andasse a nessuna manifestazione che potesse creare rotture alla maggioranza. Monaco (Margherità) ha dichiarato, a supporto delle preplessita del Ministro della Gustizia, che la presenza alla manifestazione di ministri era "Legittima, ma inopportuna per un problema di stile poichè i ministri devono piuttosto caratterizzarsi per il loro impegno dentro le istituzioni ed a maggior ragione quando il governo ha delegato all'esame del parlamento e perche anche all'annunciata manifestazione per la famiglia (e sostanzialmente contro i 'dico') vedrà la partecipazione di altri ministri, accreditandola tesi di una contrapposizione tra 'dico' e famiglia cui corrisponderebbe una divisione nel governo stesso.
A smorzare le polemiche è intevenuto il leader Ds Fassino, dichiarando "Non credo proprio che i Dico possano rappresentare un momento di frattura per il governo che da ha fatto la sua parte presentando un disegno di legge che a noi sembra equilibrato e serio. Ora il ddl è all’attenzione del parlamento; si tratta di discutere, ragionare e trovare le soluzioni adeguate: credo sia possibile e noi ci batteremo per questo».

giovedì 8 marzo 2007

Afganistan: tallone d'Achille Italiano

"Come fur giunti e in un raccolti, in mezzo levossi Achille piè-veloce, e disse: Atride, or sì cred'io volta daremo nuovamente errabondi al patrio lido, se pur morte fuggir ne fia concesso; ché guerra e peste ad un medesmo tempo ne struggono. Ma via; qualche indovino interroghiamo, o sacerdote, o pure interprete di sogni (ché da Giove anche il sogno procede), onde ne dica perché tanta con noi d'Apollo è l'ira: se di preci o di vittime neglette il Dio n'incolpa, e se d'agnelli e scelte capre accettando l'odoroso fumo, il crudel morbo allontanar gli piaccia. (Iliade, Canto I)"

In questi ultimi giorni l'Afganistan sta tornando prepotentemente nei discorsi di molti intaliani, a causa degli ultimi eventi che riguardano questo lontano paese; Con la primavera è giunta l'annunciata grande offensiva delle forze Nato (4500 uomini9 insieme a forze regolari afghane (1000 uomini) con la missione Achille sotto la guida del maggior generale Ton van Loon comandante del Southern Regional Command di Isaf, con lo scopo oltre a quello di riprendere in mano il controllo della sicurezza nelle regioni del sud, vi è anche quello di spianare la strada al programma di ricostruzione, compresa la diga di Kajaki che, se non fosse continuamente attaccata dai talebani, fornirebbe elettricità per l’intera provincia e di sviluppo economico dell'intera area combattendo gli estremisti talebani, narcotrafficanti e altri elementi di destabilizzazione. Ma proprio la questione Oppio ha messo in moto una discussione parlamentare che ha portato all'accogliemento da parte del Governo di un Ordine del giorno alla camera firmato da Rosa nel Pugno, Verdi e Rifondazione cui l’Italia si fa promotrice, a livello internazionale, dell’acquisto dell’oppio afgano per riconvertirlo in sostanze antidolorifiche, per stroncare i signori della droga ed il primo finanziamento del fronte talebano, da discutere in una conferenza multilaterale di pace. Senza contare il rapimento da parte dei talebani del giornalista di Repubblica, Daniele Mastrogiacomo, che influisce a rendere complicata la discussione nonostante sia Fassino che D’Alema avessero sottolineato la sconvenienza che la vicenda diventasse l’occasione strumentale per mettere in discussione l’impegno in Afghanistan. Tutto questo nel giorno in cui, dopo i dilungamenti sugli emendamenti (22) e gli ordini del giorno (35), che ieri hanno indotto i gruppi parlamentari a rimandare a stamattina il voto sul decreto. Un voto che, alla Camera, si sta rivelando più complesso del previsto dopo le dichiarazioni di voto da parte di partiti sia maggiornaza che opposizione si sono posti con veti incrociati su tale missione, che vanno dalla Lega che dichiara di astenersi nel caso che non vengano accolte le sue richieste di aumento di truppe (come tra l'altro chiesto anche dai nostri alleati inglesi e americani) a una svolta verso un ripensamento generale di tutta la missione con una svolta pacifista con il ritiro delle truppe e invio di personale civile umanitario da parte della estrema sinistra radicale.


martedì 6 marzo 2007

Maggioranze parlamentari variabili: La cura per il Governo


L'ipotesi lanciata da Giuliano Amato, ministro dell'Interno e subito ripresa da Fausto Bertinotti, presidente della Camera secondo i quali "le maggioranze variabili sono possibili, sono le forze politiche a dover decidere se il sostegno di una maggioranza diversa a un singolo provvedimento rappresenti una ragione per togliere la fiducia" ha creato le reazioni da parte di molti partiti sia di maggioranza che dell'opposizione. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha già deciso che incontrerà su questo delicato tema il ministro dell'Interno, dato che sicuramente non avallerebbe una situazione nella quale il ricorso a maggioranze variabili diventasse sistematico, perché in quel caso la vita parlamentare verrebbe dominata dal trasformismo e come più volte ha dichiarato in questi mesi di costante rischio di crisi del governo Prodi "i dissensi nella maggioranza vanno affrontati e risolti e non aggirati". Questa proposta nasce anche per rispondere ad una richiesta proprio del Capo dello Stato che la scorsa settimana aveva invocato “larghe intese” su provvedimenti di interesse nazionale, come i rapporti con le istituzioni internazionali (Nato) e gli impegni presi con stati esteri (Usa per la base di Vicenza e TAV) che ne valgono la credibilità nazionale, e sulle riforme istituzionali. In realtà questa proposta e’ una delle ultime possibili carte giocate da parte di alcuni esponenti del Governo che riconoscono “tendenze inconciliabili” all’interno della coalizione che ha vinto le elezioni che portano alla costante ingovernabilità per veti incrociati e prefigurano la difficoltà che presto dovrà affrontare l’esecutivo su temi come Afghanistan, Dico, Pensioni e Tav. L’opposizione nelle dichiarazioni di Altero Matteoli, presidente dei senatori di AN, e Fabrizio Cicchitto, vice coordinatore di FI, invitano il Governo a valutare il sostegno di almeno 158 eletti a Palazzo Madama su uno qualunque dei temi contestati altrimenti dovrebbe andare al Quirinale e dimettersi, senza continuare con questi escamotage.

lunedì 5 marzo 2007

I Referendum Elettorali


Dopo le esternazioni di Prodi, sul blocco o la proroga dei refendum elettorali, molti esponenti politici si sono espressi circa questo annoso della riforma elettorale. Uno dei primi a commentare e dissentire circa le parole del premier è stato Giovanni Guzzetta, presidente del comitato promotore del referendum elettorale che ha dichiarato "non posso che ricordare al presidente Prodi che se il dialogo parlamentare è iniziato, è proprio perché i referendari si sono fatti carico della indignazione dei cittadini contro questa legge elettorale che la precedente maggioranza ha imposto sotto il ricatto operativo di Pier Ferdinando Casini e ha ribadisco che la raccolta di firme e l'iter burocratico inizierà regolarmente il 24 aprile". Molti esponenti di partiti di entrambi gli schieramenti, in maggioranza quelli rappresentanti dei più piccoli si esprimono contro questo possibile referendum che spinto anche dalle idee di Mariotto Segni, padre del maggioritario italiano con le sue battaglie referendarie passate, hanno paura di perdere la loro rappresentanza parlamentare, e che ha portato alle dimissioni alla fine dell'anno scorso di sei esponenti politici dal tavolo della discussione (tra loro l'ex ministro Ds Franco Bassanini, l'ex presidente della Corte Costituzionale Enzo Cheli e il deputato della Margherita Roberto Giachetti), sostenendo che, in caso di vittoria dei sì, la legge frutto del referendum andava comunque riformata e non poteva essere direttamente applicata.
Ma pochi conoscono i quesiti che il comitato ha preparato:
- PREMIO DI MAGGIORANZA. Il premio di maggioranza verrebbe attribuito solo alla lista singola (e non più alla coalizione di liste) che abbia ottenuto il maggior numero di seggi in ognuna delle camere che spingerebbe i partiti a puntare alla costruzione di un unico raggruppamento, incentivando una significativa ristrutturazione del sistema partitico apprendo cosi all'Italia, una prospettiva tendenzialmente bipartitica reale
- NO A CANDIDATURE MULTIPLE. Vieta la possibilità di essere candidato in più circoscrizioni. Togliendo la possibilità al plurieletto di decidere il destino dei candidati la cui elezione dipende dalla propria opzione, levando cosi potere alle segreterie dei partiti e riversandolo direttamente sugli elettori.
Ricordiamo infine come è composto questo comitato che Prodi ha definito "pistola puntata sul Parlamento"; presieduto da Giovanni Guzzetta, 40 anni, avvocato, ordinario di diritto pubblico a Tor Vergata; coordinato da Mario Segni. Tra i 158 componenti, ci sono esponenti del centrosinistra (Boato, Bordon, Capezzone, Cuperlo, D'Amico, Filippeschi, Lucà, Manzione, Melandri, Parisi, Realacci, Rivera, Rossi, Turci) e del centrodestra (Alemanno, Brunetta, Martino, Prestigiacomo, Micciché); costituzionalisti (Barbera, Ceccanti, Sandulli, Quagliarello, Vassallo); amministratori (Bassolino, Chiamparino, Cacciari, Poli Bortone, Penati, Pericu).